La dieta dell’anima misurata ai tempi dell’AI

Viviamo in un’epoca in cui ogni gesto, ogni scelta e ogni pensiero sembra dover essere misurato, tracciato, ottimizzato. Lavoriamo per produrre dati prima ancora che significato. L’intelligenza artificiale ci promette efficienza, previsione e controllo, ma ci sta mettendo a dieta: una dieta povera di narrazione, intuizione, errore e complessità.

Il mio intervento parte da una riflessione critica sulla “quantofrenia”, ovvero l’ossessione per la misurazione, e da un articolo inedito che esplora come la cultura dei dati abbia invaso ogni ambito del lavoro creativo. I KPI hanno preso il posto delle domande, l’ottimizzazione ha sostituito l’ispirazione e l’AI, con la sua capacità di generare contenuti rapidi e omologati, rischia di diventare l’ennesimo ingrediente di una creatività iperprocessata.

Racconterò perché questa tendenza è pericolosa non solo per il valore del lavoro creativo, ma anche per la nostra salute mentale e relazionale. E proporrò una contro-narrazione: fatta di lentezza, dialogo tra discipline, valorizzazione del dubbio e dell’irrazionale. Perché la creatività non è una scienza esatta, e l’anima – anche quella professionale – ha bisogno di nutrirsi di storie, non solo di numeri.

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Ilaria Padovan

Client Manager Brand Strategy & Guidance @KANTAR

Sono Ilaria Padovan e lavoro come consulente in comunicazione strategica. Scrivo, progetto e penso, cercando di fare domande prima ancora che dare risposte. Ho un debole per le parole, le strutture narrative e tutto ciò che resta fuori dalle slide di sintesi.  Cosa mi nutre davvero nel lavoro, oggi? Una volta, durante una riunione piena di report e dashboard, mi sono distratta e ho chiesto “ma a qualcuno questo brand sta cambiando la vita?”. La presentazione non è andata bene. Ma da allora, ho deciso che il mio lavoro avrebbe provato a fare proprio quello: innescare un cambiamento. Nutrono il mio lavoro le storie che resistono ai dati, i dubbi che non si lasciano chiudere in una cella di Excel e le persone che ancora credono che la creatività sia anche un atto di disobbedienza.

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