Appena Daniela Montieri ha visto che il tema di quest’anno a BIG è “Dov’è finito il presente”, le è venuto spontaneo questo titolo. Valido da tanti punti di vista. Innanzitutto perché il trapassato remoto è una di quelle cose che suonano astruse e che pensiamo di non usare mai, come le tabelline, ma che in realtà usiamo sempre, senza rendercene conto. Un po’ come il nostro cervello quando lavoriamo a una campagna fatta dal nipote del cliente che ha fatto il classico. Il trapassato remoto, d’altra parte, rappresenta anche quella poca cura e quel pressapochismo che – nella realtà – domina in tante agenzie. Ci riempiamo la bocca di AI, di tecnologia, di futuro, ma poi ci perdiamo in un accento. Il trapassato remoto segna anche il tempo che è passato da quando riempivamo il nostro portfolio di campagne fighe, rigorosamente finte, quando il presente è fatto di articoli noiosi, auguri per il 235° compleanno del titolare della Calcestruzzi&Co. e correzione di bozze. “Dov’è finito il trapassato remoto?” vuole essere una riflessione sullo stato attuale del presente del nostro lavoro, quello vero, non quello che ordini su Wish, travestito da numero di stand up.