Viviamo in un’epoca in cui ogni gesto, ogni scelta e ogni pensiero sembra dover essere misurato, tracciato, ottimizzato. Lavoriamo per produrre dati prima ancora che significato. L’intelligenza artificiale ci promette efficienza, previsione e controllo, ma ci sta mettendo a dieta: una dieta povera di narrazione, intuizione, errore e complessità.
Il mio intervento parte da una riflessione critica sulla “quantofrenia”, ovvero l’ossessione per la misurazione, e da un articolo inedito che esplora come la cultura dei dati abbia invaso ogni ambito del lavoro creativo. I KPI hanno preso il posto delle domande, l’ottimizzazione ha sostituito l’ispirazione e l’AI, con la sua capacità di generare contenuti rapidi e omologati, rischia di diventare l’ennesimo ingrediente di una creatività iperprocessata.
Racconterò perché questa tendenza è pericolosa non solo per il valore del lavoro creativo, ma anche per la nostra salute mentale e relazionale. E proporrò una contro-narrazione: fatta di lentezza, dialogo tra discipline, valorizzazione del dubbio e dell’irrazionale. Perché la creatività non è una scienza esatta, e l’anima – anche quella professionale – ha bisogno di nutrirsi di storie, non solo di numeri.